Jean Klein
Sofferenza e contemplazione
3ème Millénarie n. 70 – Traduzione della Dr.ssa
Luciana Scalabrini
Da una conversazione tenuta a Royaumont, il sabato pomeriggio del 25ottobre 1980
D: Che atteggiamento avere quando ci troviamo nella sofferenza fisica?
R: Il dolore appare per qualcuno. Se voi vi identificate con il vostro dolore, siete completamente
sommersi e allora lottate, vi difendete. Il dolore vi permette di situarvi, di
comprendere che non siete ciò che è dolore; voi siete,
in qualche modo, il conoscitore di questo dolore. Quando
lasciate che la sensibilità si svegli completamente, a quel punto c’è una massa
di sensibilità ma non c’è più dolore;
resta una sensazione.
Potremmo dire che allora avete eliminato
una grossa parte della sensibilità. Il dolore, come la sofferenza psichica, in
un certo modo sono dei segnali indicatori che vi
permettono di situarvi. Quando va tutto bene, il piacere, le cose gradevoli
sono, per noi, naturali, evidenti e pensiamo di averne diritto, finché la
presenza del dolore, della sofferenza, ci dà la possibilità di situarci in un asse che si trova al di là, una Presenza silenziosa.
E’ unicamente questo asse,
questo centro che rappresenta una posizione liberatrice, dove ogni eliminazione
di questa sensibilità, di questa sensazione potrebbe trovare una possibilità di
eliminarsi, cioè che l’organismo ritrovi, di nuovo, il suo equilibrio, perché
il dolore non è, in fondo, che l’Armonia rotta.
Ogni intervento sul dolore è completamente
arbitrario. Il medico che si chiama quando c’è il dolore è tenuto a conoscere
la natura delle cose. Se conosce veramente la natura delle
cose che funzionano armoniosamente, la sua presenza e il suo intervento
permettono di aiutare questa natura a rientrare nell’ordine. Ma è molto importane che prendiate consapevolmente, e da voi
stessi, l‘atteggiamento che permette di reintegrare l’equilibrio, perché questo
disequilibrio non proviene dalla natura stessa, ma da un intervento di un “me”, di un soggetto, di una persona.
Questa persona isolata crea il conflitto, la disarmonia. Quando
contemplate la sofferenza o il dolore, vi distaccate anche dalla persona e in
questa posizione che è la vostra natura, maturando, che è attenzione totale,
questa coscienza “una” permette ad ogni cosa di rientrare, di nuovo, nell’ordine,
sia per voi che per un’altra persona.
D: Mi domando se la sofferenza è
necessariamente dolorosa o se non è un’idea ricevuta…
R: La sofferenza, di cui parlate, è sempre provocata da un situazione in rapporto con un’altra, cioè il me. Vedete
le cose in voi come se si riferissero ad una immagine di voi stessi. Là,
effettivamente, si può qualificarla, ma dal momento in cui
restate completamente sguardo, la situazione si riferisce alla Totalità.
Vorrei che lo sperimentaste. Lo sguardo è. Non è né positivo
né negativo, ma, all’ultimo, positivo! Noi siamo la gioia!
La tristezza non esiste,
è una visione frazionata. Il me preferisce la
tristezza ad una assenza del me!
D: Non esistono delle tecniche, dei mezzi
per portarci a uno stato più risvegliato, più libero?
R: Dovete coltivare la contemplazione,
contemplare il vostro corpo; vi renderete conto che contemplate l’immagine che avete del vostro corpo. Lasciatevi visitare, affascinare dal
vostro corpo e, in quel momento, siete completamente ricettivi, gli schemi del
vostro corpo non hanno più luogo e sorge la vera percezione.
Per trovare ciò che siete
fondamentalmente, bisogna prima passare per una osservazione, una contemplazione di un oggetto. Quando l’oggetto muore nella contemplazione, voi siete
scelti dalla Contemplazione. La Contemplazione si sceglie essa stessa da lei
stessa!